Keizo Kitajima | Photo Express: Tokyo

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4 min readSep 12, 2014

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Keizo Kitajima

I libri di fotografia giapponesi sono spesso oggetti d’arte che vivono di vita propria, concepiti come un insieme armonico di immagini, testi, design che lasciano il più delle volte senza fiato per la loro bellezza. L’esempio più celebre di questa sconosciuta (almeno per noi occidentali) forma d’arte è Chizu (La mappa) del fotografo Kikuji Kawada, un oggetto tanto raro quanto complesso progettato dall’artista Kohei Sugiura.

Il Libro fotografico giapponese come opera d’arte

Pubblicato per la prima volta nel 1965 per il 20° anniversario del bombardamento di Hiroshima, Chizu è probabilmente ciò che più si avvicina alla perfezione dell’idea di libro fotografico come arte. Le fotografie di Kikuji Kawada sono scatti astratti e a grana grossa che raccontano l’esplosione atomica attraverso gli oggetti bruciati, i pavimenti sfondati, le pareti squarciate, mentre il design di Kohei Sugiura è un complesso bilanciamento ed equilibrio tra testi e immagini nel quale il lettore è invitato ad interagire con le fotografie oltre che da un punto di vista visivo, in modo tattile, seguendo un percorso che si dipana su una mappa disegnata come una cartina a larga scala e lascia al lettore tutto il tempo di perdersi tra le pieghe dei significati e i dettagli del design.

Photo Express: Tokyo di Keizo Kitajima pubblicato nel 1979, invece, rompe con questa tradizione e per la prima volta si ha l’impressione di osservare una raccolta di immagini conflittuali che catturano il ronzio notturno di Tokyo. La tradizione del libro d’arte viene spazzata via dall’energia sprigionata da queste immagini che catturano come carta moschicida il mistero della notte, distruggendo in un’ondata iconoclasta e punk tutto ciò che si era visto prima.

Keizo Kitajima e la rottura di uno schema

Le fotografie sono state tutte scattate nell’arco di un anno, sonoimmagini complesse che documentano il moto perpetuo di anime vive che vivono di notte con i loro maglioni sformati, le giacche di pelle a buon mercato fagocitate dal buio e dalla luce artificiale dei lampioni o delle insegne al neon. Una moltitudine che vive in bianco e nero, senza increspature di grigio, cristallizzato nel bromuro d’argento, che sembrano emanare odore di zolfo, vapori pesanti e fritture, miste ai rumori assordanti di auto malandate.

Kitajima si concentra sui volti delle persone, che sembrano non tacere mai, un caos che rompe il silenzio della notte, un’esplosione di segni che decodificano un codice che appartiene a questi esseri notturni che abitano una città diversa, la faccia oscura di una metropoli che produce rumori e umori e che la fotografia non svuota e non presenta come un concetto unificante, riducendo questo mondo ad uno stereotipo.

Kitajima non esamina o espone in maniera asettica, ma si pone sullo stesso piano dell’oggetto indagato, si immerge e si confonde tra l’asfalto e i tombini maleodoranti, in modo da rendere evidente la propria presenza,che non si discosta o si allontana, per vedere meglio, questo mondo di cui fa parte. Il bianco e nero è una sorta di spartiacque tra chi guarda da fuori e chi vive all’interno di questi scatti, la dicotomia di non-colori opposti che registrano la trasformazione di Tokyo, prima dell’estinzione di un universo che distrugge il distrutto e che dall’altra ri-costruisce il costruito.

Ogni volto, ogni pietra, ogni singolo segno ci appare familiare. Eppure,de-contestualizzato, ogni fotogramma ci risulta estraneo. La geometria della città non muta, calpestata da storie individuali, le speranze sono vanificate dalle nubi scure, simbolo vivo di un movimento violento che sprigiona energia pura e che dà vita ad ogni singola fotografia.

Photo Express: Tokyo e la galleria Camp

Photo Express: Tokyo è un progetto che non muore quando si spengono le luci, l’aspetto polisemico insito nel titolo denota un corto circuito del lavoro messo in pratica dal fotografo che rivela Tokyo immediatamente dopo aver eseguito lo scatto, appendendo alle pareti della sua galleria per 12 mesi, 12 diversi aspetti della città. Lo spazio, all’interno della galleria indipendente Camp, nel quartiere di Shinjuku, fondata insieme a Daido Moriyama e Seiji Kurata, è parte integrante del gesto fotografico, è unalente di ingrandimento gigante su cui viene proiettato un negativo che poi lo stesso Kitajima sviluppa con l’aiuto di una spugna.

Formalmente, la relazione con Moriyama è evidente (la grana, il forte contrato), ma nei fatti Kitajima si discosta dalla lezione dell’amico, seguace dello stile Bure –Boka, stile che predilige le immagine sfuocate, in quanto le sue fotografie presentano sempre un soggetto facilmente identificabile. Lo stesso fotografo sembra essere a proprio agio nella notte di Tokyo fatta anche di night club e corpi nudi che si offrono allo sguardo e alle tasche dei passanti.

Nei primi numeri, l’occhio del fotografo si sofferma in maniera serrata esclusivamente sui primi piani dei corpi e delle facce. Poi, a poco a pco, il piano si allarga: si cominciano a vedere scene di strada, vetrine di negozi, paesaggi urbani. Nella sua radicalità, Photo Express Tokyo, sembra indicare la fine di un’epoca, quella della fotografia espressionista giapponese caratterizzato da William Klein e dalla rivista Provoke.

Photo Express: Tokyo
by Keizo Kitajima
reprint 2012
Steidl & Partners

Published 10/12/2012 on 2photo

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